giovedì 14 aprile 2016

Emptiness

Ventidue anni, un'identità non ancora del tutto conosciuta, un tentato suicidio alle spalle, uno sguardo assente all'indomani. Tra un biscotto e l'altro rimando il futuro. Mi sveglio con gli occhi pieni di speranza e vado a dormire afflitta dalla tristezza, sono un'altalena di emozioni. Sono consapevole di aver demolito con le mie stesse mani quel nido difensivo che mi ero costruita per proteggermi dal mondo. Ho innalzato una barriera per non avvertire i problemi, per sottrarmi alle mie paure, alle insicurezze, al senso di inadeguatezza che da sempre mi ha tormentato, per aprire illusoriamente le porte alla felicità. Un nascondiglio confortevole e gradevole, un'ingannevole fonte di benessere distante dalle preoccupazioni. L'aspetto smunto e scarno del mio corpo era finalmente in grado di comunicare la mia sofferenza e io avevo (quasi) tutto sotto controllo tramite il cibo, o quantomeno questo era ciò che credevo. Se non ero abbastanza apprezzata, importante, amata, potevo essere abbastanza magra, finchè anche quello non mai era abbastanza.
Oggi il presente non mi spaventa, perchè non lo vivo. Mi dico sempre che la morte peggiore non è la morte in sè ma il non vivere, quel vivere che se agli altri viene naturale e spontaneo a me risulta paradossalmente difficile. Così mi nascondo dietro a sorrisi agonizzanti, dolori non ancora elaborati, debolezze da custodire e scaffali di cibo spazzatura per riempire quei vuoti mai colmati. Forse non mi interessa realmente uscirne, forse non saprei come uscirne, forse basterebbe una mano tesa e un leale sguardo di vicinanza. Ho convissuto con la sofferenza per così tanto tempo, che per abitudine della sua presenza sembra abbia preso il sopravvento l'apatia, ma poi mi ritrovo capace di commuovermi davanti a un semplice gesto d'affetto e mi ricredo. Chissà mai che un giorno scorgerò un arco di luce in mezzo a tutto questo buio, in fondo senza la pioggia non può arrivare l'arcobaleno...